Monaci Trappisti: l’assenza di vocazione nuoce alla birra dei monasteri!

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Monaci Trappisti: l'assenza di vocazione nuoce alla birra dei monasteri!
Monaci Trappisti: l'assenza di vocazione nuoce alla birra dei monasteri!

La birra trappista è considerata da sempre un’icona del bere di qualità. Prodotta secondo rigide regole, che ne garantiscono dopo secoli la discendenza monastica, la birra dell’ordine dei monaci Cistercensi della Stretta Osservanza rischia di perdere irrimediabilmente la propria identità. La causa di questo problema sembrerebbe essere l’assenza di vocazione e quindi il ricambio generazionale dei monaci trappisti, in quanto i giovani, assorbiti da un mondo dominato dai social network e dalla visibilità, sono meno attratti dalla vita ecclesiastica fatta di fede, rinunce e silenzio.

Sempre meno monaci trappisti producono birra

Notre-Dame d'Orval
Notre-Dame d’Orval

E’ quanto emerge dal racconto di Fabrice Bordon, brand ambassador di Chimay, intervistato dal Wall Street Journal, che riferisce: “Il nostro abate scherza sul fatto che una volta c’erano 15 monaci, abbastanza per una squadra di rugby, mentre ora ce ne sono solo 12, buoni per una squadra di calcio più una riserva“.

L’attenzione sull’antica birra prodotta dai monaci trappisti arriva dopo la notizia del marchio Achel, il quale ha perso l’appartenenza al particolare ordine monastico. La birra trappista, infatti, per essere considerata tale, deve rispettare alcuni requisiti imprescindibili tra loro. Nello specifico:

  • Essere prodotta all’interno delle mura di un Monastero Trappista. L’impianto dunque deve trovarsi obbligatoriamente nella struttura;
  • La supervisione deve spettare ai monaci. La birra teoricamente può essere prodotta anche da un birraio estraneo all’ordine monacale, ma le direttive devono essere impartite sempre e solo dai monaci;
  • Non deve sussistere lo scopo di lucro. I proventi della vendita della birra non devono produrre ricchezza, ma devono provvedere al fabbisogno del monastero.
logo trappista

A tale proposito, col trasferimento dei monaci trappisti della comunità di Achel nell’abbazia di Westmalle, decade uno dei tre requisiti fondamentali per un birrificio trappista. Per cui, nonostante la birra continuerà la produzione con la qualità di sempre – come riferisce padre Nathanaël Koninkx -, non sarà più sotto la diretta supervisione dei monaci. Di conseguenza Achel non potrà più utilizzare il logo Authentic Trappist Product in etichetta.

Cosa non sta funzionando?

Senza Achel, l’International Trappist Association (l’associazione che assegna il marchio Authentic Trappist Product) annovera attualmente undici produttori di birra trappista. La Trappe e Zundert nei Paesi Bassi, Chimay, Orval, Rochefort, Westmalle e Westvleteren in Belgio, Spencer negli Usa, Engelszell in Austria, Tynt Meadow in Inghilterra e Tre Fontane in Italia.

Ma cosa non sta funzionando? Nel tentativo di mantenere i ritmi di un mondo che segue una direzione diametralmente opposta alla rigida vita dei monaci trappisti, le abbazie hanno parzialmente evoluto il loro approccio alla comunicazione e al marketing.

L’abbazia di Saint Joseph in Massachusetts ha iniziato a promuovere i propri prodotti sui social, mentre quella di Saint Sixtus ha creato una piattaforma di e-commerce. Invece la comunità di Westvleteren, da sempre nota per la vendita di birra presso il monastero, attiva la consegna a domicilio.

Si reinventa anche Notre-Dame de Scourmont, che da oltre 150 anni produce Chimay, la quale ha predisposto alcune celle per turisti in cerca tranquillità, anche se Fabrice Bordon puntualizza “non è un hotel e bisogna comunque rispettare le regole“.

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caldaia birrificio

Mutamenti dunque impensabili per il rigido ordine dei monaci Cistercensi della Stretta Osservanza, che tuttavia non sembrano risolvere il problema. Serve nuova linfa alla produzione birraia, considerando che il lavoro è ormai in mani laiche, mentre i monaci dirigono le operazioni e le decisioni finali.

Ma soprattutto sono necessarie forze giovani, che stiano dietro al complesso e talvolta ostile mondo della birra. Un settore popolato anche da produttori sleali che per ottenere notorietà e prestigio utilizzano impropriamente la figura del monaco sulle proprie etichette.

Tuttavia come sottolinea Manu Pawels, responsabile vendite del monastero belga di Westmalle: “I monaci credono in Dio, e sono sicuri che sarà Lui a risolvere il problema“.

Buona birra a tutti.

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